Campadidanza | La neopremiata Luna Cenere in scena con la prima di Zoè. Digital edition

23 febbraio 2021 – campadidanza dance magazine

Luigi Aruta

L’edizione digitale di Zoè immagino nasca anche come risposta resiliente alla situazione attuale. Come la tua artisticità, e la ricerca che ne deriva, incontrano gli attuali “limiti” della creazione?

Una risposta resiliente, sì, ma c’è anche una gran voglia da parte mia di mettermi in discussione. Già con lo spettacolo Genealogia_Time specific ho deciso di affrontare e creativamente superare i limiti che in quel momento la situazione mi presentava. In quel caso ho creato una coreografia per professionisti e non lavorando sulla distanza tra e dei corpi, un tema attuale che si è andato ad aggiungere a quelli che lo spettacolo già portava con sè.

Questa volta è l’assenza, la distanza del pubblico. Ho dovuto riflettere molto sul tema del digitale prima di affrontarlo personalmente. Ragionando sul medium, sulle possibilità e i limiti che lo costituiscono. Per questo ho voluto che l’occhio della camera si muovesse come l’occhio dello spettatore, raccogliendo dettagli senza perdere la visione d’insieme. Si tratta pur sempre di una scelta di sguardo e in questo sta il suo limite inevitabile.

Questo strumento ci permette di essere molto vicini e molto lontani allo stesso tempo, ascoltare il nostro respiro anche se a chilometri di distanza. É un momento storico che pone tutti noi, non solo gli artisti, a dover fare i conti con delle limitazioni. In quanto artista, cerco di superare questi limiti in maniera poetica e creativa.

Dunque, Luna Cenere sceglie di affrontare il momento storico dando continuità e rilanciando poeticamente e creativamente i temi che fanno da cardine alla sua ricerca. La forzata distanza e l’accentramento del potere creativo nelle mani dello strumento tecnologico, hanno rappresentato un espediente di reinvenzione creativa nella fedeltà assoluta ai temi centrali della sua poetica.

Il corpo appare centrale nella tua ricerca artistica. Se ti chiedessi di declinare e motivare il suo ruolo su tre livelli di riflessione, quali sarebbero?

Il corpo e la condizione di nudità sono l’aspetto manifesto della mia ricerca e una condizione necessaria. Una pratica che porto avanti da diverso tempo e che da due anni ho iniziato a definire creando un percorso di ricerca dal nome Genealogia. Questo progetto costituisce uno spazio/tempo di indagine relativa al legame tra la nostra mente, il nostro pensare il corpo, e il suo aspetto manifesto strettamente legato alla nostra percezione e alla cultura di appartenenza.

Questi sono già due livelli: il modo in cui pensiamo e abitiamo il nostro corpo e lo spazio che il nostro corpo abita. A questi si aggiunge una ricerca sensibile/sensoriale, un percorso esperienziale ed empirico profondo. Vado a decostruire preconcetti, giudizi di valore, individuare limiti (che spesso sono più nella nostra mente che nel nostro corpo), riflettere sulla genesi del gesto danzato e restituire al corpo il suo valore incondizionato.

Genealogia vuol dire valore dell’origine e, al tempo stesso, origine dei valori. Si contrappone tanto al carattere assoluto dei valori quanto al loro carattere relativo o pratico. Significa dunque origine e nascita, ma anche differenza o distanza nell’origine. Corpo, origine, nascita, differenza, distanza, valori e le loro possibili interconnessioni riconducono a riflessioni attuali, fortemente prossime e impregnate nella società attuale su diverse stratificazioni e linee applicative.

Tutto ciò basterebbe già per convincersi a prenderne visione, anche semplicemente per sostituire il tempo sospeso di questi giorni con l’atemporalità di corpi che danzano e raccontano. In virtù di ciò è profondo, concreto e urgente ciò che Luna Cenere dice in risposta al mio ultimo quesito per lei.

Perché una persona dovrebbe guardare questo spettacolo? Cosa si porterebbe “a casa”?

Credo che in questo momento abbiamo tutti profondamente bisogno di umanità, semplicità, delicatezza e bellezza. Di ritornare a meravigliarci. Ho scelto di portare ora in scena questo spettacolo perché credo sinceramente che una lettura altra del corpo, dell’umano, del contatto e della comunità sia necessaria. Abbiamo bisogno di osservare il corpo oltre il dato scientifico/medico che entra nelle nostre case quotidianamente. Spero che queste emozioni di cui parlo possano abitare il nostro spazio domestico, lasciare una traccia e suggerire nuove prospettive.

23 febbraio 2021 – campadidanza dance magazine

Luigi Aruta