L’Adige | Al Miravalle c’è Luna Cenere

05 Settembre 2020 – L’adige
redazione
ladige.it
Luna Cenere, danzatrice e coreografa napoletana, impegnata in questo biennio come artista associata al Festival Oriente Occidente con un percorso di ricerca sul tema del corpo, porta in scena alla Campana dei Caduti stasera e domani, com inizio alle 19.00, “Genealogia”, con la Compagnia Körper. Ma la particolarità della produzione site specific e time specific (studiata appositamente per gli spazi dell’arena all’aperto sul Colle Miravalle e fortemente ripensata per rispondere ai criteri anti-contagio di quest’era pandemica), è quella di coinvolgere una ventina di danzatori non professionisti, amatori, sia trentini che di altre regioni italiane ( Emilia Romagna, Marche e Umbria). Il corpo, insomma, in epoca di Covid-19, come strumento potenziato del linguaggio artistico umano e questo spettacolo come una catarsi e un rito collettivo, in epoca di distanziamento fisico-sociale. Il 18 Agosto sono cominciate le prove, ma nei mesi precedenti la parte teorica è stata svolta attraverso le piattaforme digitali. Luna Cenere offre volentieri qualche anticipazione e qualche riflessione sullo spettacolo e su quest’anno, il 2020, imprevedibile per la danza e le arti coreutiche.
Uno spettacolo di danza senza contatto fisico. Possibile?
“Si, abbiamo rivisto le pratiche e abbiamo seguito i protocolli giustamente necessari. L’idea creativa iniziale, naturalmente, rimane. Durante le prove, la mia voce narrante è stata indispensabile, non potendo “manipolare” i corpi. La voce e gli sguardi anno sopperito. Il paradosso è che siamo toccati dal virus ma non ci possiamo toccare… I danzatori saranno distanziati fisicamente ma uniti energicamente. Abbiamo potenziato il dialogo con questo spazio simbolico che è la Campana dei Caduti, ricca di significati. Una scelta, questo luogo, dettata da ragioni pratiche, per agevolare il pubblico, ma che dà un valore aggiunto all’idea iniziale.”
Con quali altri accorgimenti avete compensato le limitazioni al movimento, al rapporto tattile dei corpi in scena?
“Abbiamo pensato a un tappeto sonoro di musica elettronica. Un approccio psicoacustico, curato dal musicista Renato Greco, che ha fatto un sopralluogo per capire come fare a far dialogare la musica con lo spazio. Anche il lavoro sui corpi in scena è stato ricalibrato su questo particolare momento storico e sul luogo dell’esibizione. Il linguaggio poetico della danza supera questa difficoltà, giocando sulla relazione spaziale, visiva, sonora.”
Questo distanziamento è una fase di passaggio o nulla tornerà come prima, nemmeno nei rapporti fisici?
“Bella domanda… Quello che posso dire è che il cambiamento è già avvenuto. Lo stiamo digerendo. La presa di coscienza sarà lunga. la paura ci frena e ci frenerà molto, anche in futuro. La paura è istinto e ci protegge. Dobbiamo scavalcare la paura con gli altri sensi, toccarci con le parole e lo sguardo.”
Perché “Genealogia” il titolo dello spettacolo?
“Perché dalla genesi del pensiero sul corpo scaturisce il modo in cui lo abitiamo. La danza aiuta nell’accettazione del proprio corpo. La nostra postura è il nostro modo di stare al mondo. In essa troviamo scegli precisi della nostra storia, delle nostre origini, le nostre cicatrici, parti di noi che a volte cerchiamo di rinnegare. Tutti i segni del corpo vanno amati.”
Viviamo nella società dell’immagine. I social media come hanno cambiato la percezione del nostro corpo?
“In tv le posture sono tutte molto accentuate e faccio da leggere. Quella autoritaria, impositiva, come quella introversa, o estroversa. In teatro noi, da spettatori leggiamo lo spazio proprio attraverso la postura degli attori. Nel mondo dei social network il corpo è l’elemento principale. Spopola. Ma quasi sempre attraverso immagini di noi stessi. È una società che estremizza il selfie e molti si adeguano, seguono la corrente.”
Di fronte a questo mondo veloce ed edonista, quali antidoti cerca di distillare attraverso al sua concezione della danza?
“Gli spettatori di Rovereto vedranno che allungo e dilato i tempi. Mi piace soffermarmi sui dettagli. È la mia esigenza creativa di fronte alla velocità, al bombardamento di immagini cui siamo sottoposti. Ultimamente, poi, mi piace lavorare suoi corpi visti di spalle. Viviamo in una società frontale, che vuole vedere tutto. Invece serve un po’ di mistero. Come nel teatro antico: c’erano le maschere per rappresentare non un volto, ma il genere umano. Per scoprire il corpo a volte bisogna rinunciare al volto.”