Teatro Akropolis. Testimonianze ricerca azioni Vol. 9 | I wanted to magically disappear

Luna Cenere . Kokoro ph. Andrea Macchia

ottobre 2018 – Teatro Akropolis. Testimonianze ricerca azioni
Vol. 9

Luna Cenere

teatroakropolis.com

Quando

Voglio parlarvi dell’inizio e comincio col dirvi che l’inizio non esiste. Cosa intendiamo noi per ‘inizio’? Quando possiamo dire che qualcosa ha inizio? Un atto scenico non ha inizio dopo il buio, probabilmente è iniziato molto prima, ma non si può dire quando esattamente. Dobbiamo superare il concetto di inizio e comprendere che tutto è sempre in corso d’opera. Nella vita di un artista il suo processo evolutivo personale viaggia di pari passo con la sua ricerca, vi si sovrappone, così come ‘la fine’ si sovrappone all’inizio’. Ci sono tante cose che cominciano quando una cosa finisce e viceversa. Riuscire a percepire l’assenza di un vero margine e comprendere l’essenza di questo grande fluire, questo potrebbe essere un inizio.

C’è stato un momento in cui alcune domande erano diventate ossessive. Cominciai a scriverle e a osservarle da vicino. Tra queste la messa in discussione del limite fisico/concettuale era il comune denominatore e, nel tempo, questo si è diventato un argomento fondamentale per me.
Dopo anni di training e frequentazione di luoghi, la fascinazione iniziale verso quello che stavo facendo era svanita e ho compreso che finché non fossi riuscita a formulare la giuste domande non avrei potuto procedere. La messa in discussione di ciò che vedevo, corrispondeva alla messa in discussione di me stessa. Cosa è ‘danza’ e cosa/chi sono ‘io’?
Volevo trasformare qualcosa fuori di me e per farlo dovevo partire da dentro. Ero in crisi e stavo finalmente attraversando quella sofferenza necessaria al cambiamento. Con il senno di poi sono grata a me stessa per aver tenuto duro ed essermi ancorata a due punti per me saldi: la mia pratica e il mio sentire. Ho compreso che quello che la vita mi stava dando erano i giusti strumenti per compiere la mia piccola ‘rivoluzione’.

LO STRUMENTO

Un giorno una mia cara mica venne a trovarmi a Bruxelles e dimenticò sul comodino accanto il letto il libro ‘The invisibile Actor’ di Yoshi Oida e Lorna Marshall. Ancora oggi la ringrazio per questo gesto involontario.
Leggere quel libro è stato il ‘punto di non ritorno’. Da quel momento le parole di Oida mi hanno guidato e incoraggiato a intraprendere un mio percorso personale. In seguito molti altri autori hanno assunto questo ruolo, ma è attraverso questo testo che si è risvegliata in me la capacità di tradurre la parola scritta (e non solo) in ispirazione.

Il libro è scritto per l’attore, ma è importante sapere che la pratica Orientale del teatro Nō è volta alla creazione di un ‘teatro totale’ e prevede la competenza del movimento, canto e recitazione. Incredibilmente attuale e vicina al nostro concetto Occidentale di performance. La differenza sostanziale sta nella consapevolezza che lo spazio interiore è importante tanto quanto la conoscenza della tecnica e la cura del corpo.

Nella sua introduzione al testo, Oida racconta della sua infanzia e di quanto da bambino avrebbe voluto essere un Ninja. Quello che realmente lo affascinava di questi personaggi era la loro capacità di ‘scomparire magicamente’. Racconta di come nel corso degli anni, a seguito di numerosi tentativi di varia natura, sia giunto nell’età matura a raggiungere il suo obbiettivo di diventare ‘invisibile’ apprendendo l’arte di scena.

“Per me recitare non significa mostrarmi o ostentare la mia abilità. recitare significa piuttosto ‘rivelare qualcos’altro’, qualcosa che il pubblico non può vedere nella vita di tutti i giorni. Questo qualcos’altro non è fisico, dunque non è visibile. Nè sta all’attore renderlo concreto, egli agirà soltanto sull’immaginazione del pubblico affinché nella mente dello spettatore appaia questo qualcos’altro. Perché ciò avvenga, il pubblico non deve avere minima consapevolezza di quello che l’attore sta facendo. Lo spettatore deve essere in grado di dimenticare l’attore. L’attore deve sparire.” Y.O.

IL COME

Abbandonare il proprio sé per mettersi al servizio dell’atto scenico. Sparire dentro il gesto perché lo spazio si riempia del suo senso. Un messaggio forte e altrettanto enigmatico quello di Oida, così profondo da imprimersi per sempre nella mia pratica. Anche io dovevo trovare il modo di diventare invisibile e far si che il mio corpo diventasse un medium in grado di far apparire il pensiero o qualsiasi cosa non concretamente presente nello spazio.

‘Kokoro’ è stata la prima materializzazione di queste riflessioni e la prima espressione scenica di una metodologia che vede la pratica quotidiana, la vita emotiva e la crescita personale interconnessi tra loro.
In questo lavoro per la prima volta ho messo in scena le mie domande formulando delle risposte che, comunque, restano solo provvisorie. In scena non c’è Luna ma un essere che emerge, si trasforma, si riscopre, respira, riflette e procede davanti agli occhi del pubblico.
Non c’è né un inizio né una fine. Le posture suggeriscono ma non dichiarano, con l’intento di lasciare al pubblico la possibilità di rileggerle e interpretarle attivamente, mentre la loro fantasia è guidata da un tappeto sonoro composto di suoni di elementi naturali. Il desiderio che l’osservatore possa usare la sua personale immaginazione è il motivo per il quale ho iniziato ad approfondire il tema della ‘memoria collettiva’ in relazione all’immagine e alle posture del corpo. Come nel teatro Nō ho scelto che fosse il gesto, o meglio, l’azione che coinvolge tutto il corpo con un preciso tempo in uno specifico spazio ad essere la priorità. Lo spazio profondo che avrei creato dentro di me sarebbe poi stato il luogo dove il senso si sarebbe depositato e dal quale avrebbe vibrato, fino ad arrivare a chi osserva. Ho voluto credere in questa possibilità con fede intraprendendo un duro lavoro che si prefiggeva di essere quanto più onesto possibile, con un’attenta auto-osservazione e analisi di quello che facevo. Quando finalmente sono andata in scena e ho presentato lo spettacolo, alcune persone avevano il volto rigato dalle lacrime. Questo è capitato più volte ed è stato per me la prova concreta che Oida aveva ragione e che avevo trovato una strada da seguire.

LO SPAZIO INVISIBILE

Per diventare ‘invisibile’ allo sguardo di chi osserva è necessario che questa condizione sia stabilita fin dall’inizio.

Lavorare sulla ‘memoria collettiva’ significa per me declinare un concetto attraverso una o più azioni e, senza che questo sia esplicitamente dichiarato, lasciare che si manifesti attraverso una ricostruzione che avviene con la messa in gioco delle memorie pregresse di chi osserva. Usando la scena come luogo in cui potenzialmente tanti livelli di lettura hanno la possibilità di coesistere, cerco di lavorare su più piani di interpretazione e di significato. Nella vita ‘reale’ questo non può accadere, mentre la poetica della scena ‘metaforizza’ il corpo e lo spazio, e mi permette di diventare individuo/essere. Spersonalizzandomi, diventando ‘invisibile’, il pubblico può leggere qualsiasi cosa. E’ un processo di traduzione e trasferimento che avviene su un piano invisibile che richiede un grande ascolto e, dalla mia esperienza, direi anche una disciplina ferrea.
La performance diventa così come un ponte tra storia, memoria personale, memoria collettiva e il momento presente. L’inattualità delle immagini diventa contemporanea nella sua rielaborazione e nell’uso che scelgo di farne al servizio del concetto di partenza, che è anche oggetto di indagine. Le immagini devono essere coerenti al lavoro ed apparire nel giusto momento perché il pubblico possa procedere con me nel viaggio tematico.

‘Imparare attraverso il corpo qualcosa che è al di là del corpo” (cit. Lorna Marshall) significa abitare ogni gesto, starci dentro, ripeterlo, osservarlo da fuori e imparare a percepire la risposta emotiva che questa azione suggerisce. A riconoscere ciò che lentamente emerge.

‘Twin’ ( lavoro ancora ad uno stadio di work in progress ) e ‘Natural Gravitation’ ( tributo a Isadora Duncan commissionatomi dal Ravello Festival 2018 ) sono gli ultimi due lavori che ho presentato e nei quali questo mio approccio all’azione scenica si è rivelato essere una prima traccia autoriale.

ESSERE UMANI

Molte sono le tradizioni ancora vive secondo le quali è fondamentale prendersi cura sia del benessere fisico che di quello spirituale. Sostengono che l’essere umano possieda oltre all’energia fisica anche una sorta di energia interna in connessione con il movimento dell’universo. Col passare dei secoli la nostra cultura ha dimenticato l’importanza di nutrire i sensi interni, perdendo così anche il contatto con quelle attività fisiche che assolvevano a quella funzione di trasformare, purificare e anche liberare uno spazio interiore. In passato l’atto danzato era proprio il momento di contatto con questa dimensione energetica, e il danzatore era visto come colui in grado di manifestare la relazione tra corpo e energia nello spazio. Praticare la danza con questa consapevolezza cercando di comprendere questo rapporto ha cambiato la mia prospettiva. Eventualmente ho anche appreso come creare dentro di me uno spazio vuoto che possa accogliere me e l’immaginazione dello spettatore.

“Gli esseri umani sono totalmente dipendenti dalla natura e in connessione con essa. L’acqua’ l’aria, il fuoco e la terra stessa, sono in costante movimento e anche noi siamo trascinati in questo movimento. Dobbiamo tenere presente questa connessione quando siamo in teatro. Quando creiamo un essere umano sulla scena, dobbiamo ricordarci di questa relazione con i fenomeni naturali. Altrimenti tutta una dimensione dell’umano viene a mancare.” (cit. Yoshi Oida)

Il teatro sopravvive in quanto tempio in cui ancora si riflette sull’umano. Vivere nell’artificio urbano e sociale ci sta facendo perdere il contatto con noi stessi e con il reale.
Questo tema è per me strettamente legato all’invisibile. Sembra una dicotomia ma in realtà è solo il diretto prodotto della nostra evoluzione culturale. Come artista sono in un processo e allo stesso tempo osservo i processi che avvengono intorno a me. Invito all’apertura della coscienza e alla riflessione sul nostro ruolo di umani oggi.

La vita è un processo creativo per tutti.
In questo senso la spinta creativa che si manifesta liberamente da ciascuno di noi ha un potenziale rivoluzionario.

ottobre 2018 – Teatro Akropolis. Testimonianze ricerca azioni
Vol. 9

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